Domani – Lunedì 10 Marzo, nella “Giornata dei Beni Culturali siciliani”, istituita dalla Regione Siciliana, i volontari dell’Archeoclub d’Italia accoglieranno a Himera, i visitatori e condivideranno con loro il ricordo di Sebastiano Tusa, archeologo, Soprintendente del Mare e Assessore per i Beni Culturali e l’Identità siciliana.
Fortunata Flora Rizzo (Vice – Presidente Nazionale di Archeoclub d’Italia) : “A sei anni dalla sua scomparsa, avvenuta con un disastro aereo, esattamente il 10 Marzo del 2019, Archeoclub d’Italia ricorda il grande archeologo Sebastiano Tusa e lo farà con due importanti eventi, dei quali il primo in programma il 9 Marzo e il secondo il 10 Marzo nell’ambito della Giornata dei Beni Culturali Siciliani indetta dalla Regione Siciliana. Eventi programmati con il Parco Archeologico di Himera, Solunto e Iato, nel sito archeologico di Himera. Ringraziamo la Direzione del Parco Archeologico”.
Nei luoghi della storia e della mitologia. In una delle aree archeologiche più antiche d’Italia e della Sicilia.
Domani – Lunedì 10 Marzo – Parco Archeologico di Himera – Termini Imerese – ore 9 e 30 visita, aperta alla stampa, all’ Antiquarium “Minissi” e alle ore 11 al Tempio della Vittoria e al Museo “Pirro Marconi”.
“Domani accoglieremo tutti al Parco Archeologico di Himera, Solunto e Iato, dove c’è la Necropoli più grande in Europa. Siamo in presenza di una delle aree archeologiche più antiche della Sicilia, nel regno della storia e di uno straordinario patrimonio archeologico. Ringraziamo la direzione del Parco Archeologico. A sei anni dalla sua scomparsa, avvenuta con un disastro aereo, esattamente il 10 Marzo del 2019, Archeoclub d’Italia ricorderà il grande archeologo Sebastiano Tusa. Domani, Lunedì 10 marzo, nella “Giornata dei Beni Culturali siciliani”, istituita della Regione Siciliana in memoria dell’Archeologo, avremo l’apertura del sito archeologico di Himera, con ingresso gratuito, dalle ore 9.00 alle ore 18.00 (ultimo ingresso alle ore 17.00). I Soci dell’Archeoclub d’Italia, delle Sedi locali di Cefalù, Gratteri, Palermo e Termini Imerese, accoglieranno i visitatori e condivideranno con loro il ricordo di Sebastiano Tusa e del suo straordinario contributo nel campo dell’archeologia. “A Himera con l’Archeoclub d’Italia nella ‘Giornata dei beni culturali siciliani’”, sarà il titolo dell’evento. Avremo visite guidate programmate: ore 9.30 – Antiquarium “Minissi”, a cura dell’Archeologa Laura Di Leonardo, alle ore 11.00 visita al Tempio della Vittoria e Museo “Pirro Marconi,” a cura del Direttore del Parco, Arch. Domenico Targia, e dell’Arch. Roberto Tedesco. Inoltre, nel corso della giornata saranno proiettati e illustrati dei filmati – a cura di Salvatore Emma, Istruttore Direttivo della Soprintendenza del Mare – sulle attività di Archeologia subacquea di cui fu protagonista Sebastiano Tusa”. Lo ha annunciato Fortunata Flora Rizzo, Vice Presidente Nazionale di Archeoclub d’Italia e Coordinatrice Dipartimento Scuola, Cultura e Progetti Speciali.
Entrare nei luoghi della storia e della mitologia!
“Secondo il mito Athena, Artemide e Kore amavano la Sicilia e per scelta vollero rimanere caste, per offrire la propria esistenza esclusivamente alla salvaguardia della terra. A ognuna di esse fu affidata una parte dell’isola.
Ad Athena toccò Himera, dove le ninfe fecero sgorgare fonti di acque calde per far ristorare Eracle durante le fatiche.
Artemide consacrò l’isola di Ortigia a Siracusa e in questa circostanza venne generata una fonte di acqua dal nome di Aretusa.
Infine, Kore ricevette le terre nel cuore dell’isola.
La storia di Himera inizia nel 648 a.C., anno in cui fu fondata dagli ecisti Euclide, Simo e Sacone.A costruire la colonia fu un nucleo misto di Calcidesi, venuti in questo territorio dall’attuale Messina e di Dori siracusani, come riferiscono Tucidide nelle Storie e Diodoro Siculo nella Biblioteca Storica, quest’ultimo con riferimento alla data di fondazione della città.
Anche il geografo Strabone attribuisce agli Zanclei di Mylae la nascita del primo centro urbano imerese.
Il nucleo originario fu costruito a ovest della foce del fiume omonimo sulle colline dominanti l’attuale pianura di Buonfornello.
I culti religiosi praticati in città per alcuni studiosi erano dedicati alla dea Athena almeno in due templi del temenos. Questa affermazione è avvalorata dai reperti archeologici rinvenuti nei sacelli – ha affermato Roberto Tedesco, architetto, consulente del Parco Archeologico di Himera – da cui è possibile dedurre che tale venerazione fosse sostenuta da un forte proselitismo.
I templi nell’area sacra rinvenuti sono quattro o meglio tre, perché il tempio A fu annesso a quello B. A tutt’oggi sono riconosciuti con le lettere dell’alfabeto a causa della dubbia destinazione alla devozione.
Prima il tempio A e in seguito quello B si possono considerare le più primitive costruzioni pubbliche realizzate a Himera. Questa asserzione è avvalorata dalle ricerche archeologiche, che hanno permesso di datare la costruzione dei due edifici sacri nel periodo dopo la fondazione della colonia. Entrambi realizzati con il sistema a oikos, il tempio A fu costruito nella seconda metà del VII secolo a.C, mentre quello B intorno alla seconda metà del VI a.C. La Sicilia nel V secolo a.C.
Nel V secolo a.C. Agrigento era determinata ad avanzare fino alle coste del Tirreno, perché interessata ad accrescere le proprie relazioni economiche e commerciali.
Questo impensierì il despota di Himera, Terillo che dopo essere stato cacciato dalla città, chiese manforte ad Anassilao, tiranno di Rhegion. Quest’ultimo, conscio dell’egemonia militare di Agrigento, rispetto alla modesta milizia da lui comandata, si rivolse ai cartaginesi per un sostegno nelle operazioni di guerra. Gli africani, intenzionati a conquistare nuove terre, senza indugio accolsero la richiesta di supporto. Un’opportunità questa che consentiva di ampliare gli interessi commerciali, una volta messo piede in terra imerese.
La Sicilia rappresentava, per il popolo d’oltremare, un passaggio obbligato per intraprendere un’eventuale avanzata verso la penisola.
I cartaginesi predisposero con tempestività un esercito di assoldati, costituito da Liguri, Iberici, Sardi e Corsi. Dopo lo sbarco in Sicilia, a Panormo, (Diodoro Siculo riferisce che la traversata avvenne con molte difficoltà: una tempesta in mare fece perdere la cavalleria e i carri da guerra).
Lo storico di Agira, con smisurata propaganda filo coloniale, riferisce che l’armata africana aveva imbarcato trecento mila uomini su duecento galee da guerra e tremila da trasporto.
Un gran numero di uomini e mezzi, fondamentali per avvalorare l’idea che, nonostante il dispiegamento militare cartaginese, pochi uomini ma valorosi eroi Greci travolsero l’antagonista (cinquantamila soldati e cinquemila uomini della cavalleria). Poiché lo scontro era inevitabile, il Signore di Agrigento Terone, si alleò con il tiranno di Siracusa, Gelone, fondando un’intesa militare senza precedenti.
Le più influenti città greche dell’isola si erano divise in due prime linee, a settentrione Terillo e Anassilao (calcidesi), a meridione Terone e Gelone (dorici). Ne conseguì un insolito legame familiare dei quattro tiranni, sia Terillo che Terone erano suoceri di Anassilao e di Gelone. Il primo sposò Cidippe, il secondo Damarete.
Cartagine assegnò il comando militare ad Amilcare; giunto in prossimità del fiume Torto, dispose gli uomini nelle vicinanze delle mura difensive del centro abitato, mentre quello che era rimasto della flotta si dispose in prossimità della riva. Per assicurarsi un agevole e rapido trionfo, il generale cartaginese chiese il favore agli dei, immolando tori a Poseidon (per i cartaginesi si identificava col dio Bàal).
Lo scontro tra le due milizie avvenne sul versante del fiume Torto.
A vincere il conflitto fu la confederazione comandata da Gelone, che usufruì del supporto dell’esercito imerese.
Secondo quanto riferito nel racconto diodoreo, il fato fu favorevole a Gelone. In particolare nella circostanza della cattura di un corriere selinuntino.
Così come già accennato in precedenza, l’armata cartaginese era priva della potente cavalleria, andata persa in mare durante il viaggio verso la Sicilia e il supporto del reparto a cavallo selinuntino sarebbe divenuto fondamentale per la conquista di Himera.
L’emissario aveva, inoltre, l’incombenza di comunicare il giorno in cui i selinuntini, da sempre rivali degli imeresi, dovevano unirsi ai soldati di Amilcare, per sferrare l’attacco risolutivo.
Possiamo immaginare che le informazioni in possesso dall’emissario cartaginese vennero ottenute senza particolare difficoltà da Gelone.
Pertanto, appreso il giorno dell’assalto, lo stratega siracusano dispose che la cavalleria si dirigesse verso il campo militare cartaginese, facendo in modo che arrivasse dal versante contrario. Con questo inganno fece intendere ai cartaginesi che si trattava di rinforzi provenienti da Selinunte.
Addentrati i soldati di Gelone all’interno dell’accampamento, l’eccidio ebbe inizio senza indugio. L’ordine dato dall’autocrate alla cavalleria dovette essere esplicito: non fare alcun prigioniero!
Amilcare, secondo quanto riferisce Erodoto nelle sue Storie, pur di non essere imprigionato, si catapultò nel rogo ardente, devoluto per i sacrifici agli dei.
Differente è invece la versione dello storico Polieno; nella sua opera Gli Stratagemmi, ci riferisce che Amilcare venne colpito a morte da una raffica di frecce durante l’offerta delle libagioni agli dei.
Conclusa la battaglia, Cartagine chiese la pace, che le fu accordata dal tiranno di Siracusa. Sia Gelone, che in seguito il fratello Ierone, si servirono del trionfo di Himera, (e di quello a Cuma contro gli Etruschi del 474 a.C.) come mezzo di propaganda per auto-conferirsi il ruolo di difensori dell’ellenismo occidentale nei confronti dei barbari d’oltremare.
Le richieste fatte ai vinti, stipulate nel trattato di pace, si possono sintetizzare in due imposizioni.
La prima consistette nella costruzione di due templi in stile dorico, secondo la tradizione di quel tempo.
Uno di questi fu eretto a Himera, denominato, in seguito, il Tempio della Vittoria; l’altro, di dimensioni maggiori, a Siracusa, probabilmente dove oggi sorge la Cattedrale nel cuore di Ortigia. Le colonne del tempio si possono ancora oggi notare nei muri perimetrali dell’edificio.
Secondo quanto riferito dagli storici, venne inoltre preteso un risarcimento in monete d’argento per i danni procurati dalla guerra.
Nel 409 a.C. i cartaginesi, al comando di Annibale, iniziarono una nuova guerra contro le colonie greche, stavolta con maggiore fortuna.
Molte delle poleis delle coste settentrionali e meridionali della Sicilia vennero devastate, fra cui Himera. L’avvenimento pose fine alla storia della città, appena duecento trentanove anni dopo la sua fondazione.
Dopo la disfatta di Himera, i cartaginesi e alcuni esuli s’insediarono sul sito delle antiche terme, già abitato da una piccola comunità. La splendente città, definita da Eschilo con l’epiteto poetico dagli alti dirupi, non venne forse mai più abitata.
Qualche secolo dopo Strabone, nella sua Geografia, e in particolare nel capitolo dedicato alla Sicilia, afferma di non essere a conoscenza di insediamenti ancora esistenti né a Himera, né a Gela, né a Callipos, né a Selinunte, né a Eubea, affermando che questi luoghi erano utilizzati saltuariamente dai pastori.
Anche Akragas venne distrutta dai Cartaginesi radendola al suolo nel 406 a.C. La presenza di Eracle nel territorio di Imera è da riferirsi al suo viaggio (nella Sicilia settentrionale) di ritorno da una delle fatiche (decima), quando si impadronì della mandria del gigante tricefalo Gerione, ritenuto l’uomo più vigoroso tra gli esseri viventi .
Eracle uccide Gerione, l’essere munito di sei mani e sei piedi (e forse alato: Stesicoro fr. 5 Davies – Finglass), dopo averlo colpito con una freccia in una delle tre teste e verosimilmente dopo averne offesa una seconda con la clava (Stesicoro ffrr. 19 e 20 Davies – Finglass). Al ritorno dall’estremo occidente, dove si trovava il mostro Gerione, Eracle si fermò nel territorio di Imera. Qui, come sostenuto da Diodoro Siculo (Biblioteca Storica IV, 23, 1 e V, 3, 4) per volontà di Athena, le ninfe fecero sgorgare le già citate acque calde per far ristorare l’eroe. Le testimonianze letterarie confermano che a introdurre il mito di Eracle nell’isola fu, tra i primi, il citaredo imerese Stesicoro, con particolare riferimento all’opera denominata: La Gerioneide. Il poeta descrive il figlio di Zeus come un brigante armato di clava e di un arco, e con la testa di un leone sul capo (Stesicoro fr. 281 Davies – Finglass). Il connubio tra Eracle e le fonti di acque calde persistette anche nei secoli successivi, come si evince da alcune monete del II secolo a.C., nelle quali su un lato è figurata la testa dell’eroe e sul retro la ninfa Imera (vedi disegno del blocco marmoreo di pp. 4 e 84) ”.
Per interviste:
Fortunata Flora Rizzo – Vice Presidente Nazionale Archeoclub D’Italia – Tel 338 – 931 0216.
Rosario Santanastasio – Presidente Nazionale di Archeoclub D’Italia – Tel 333 239 3585.
Giuseppe Ragosta – Addetto Stampa Nazionale Archeoclub D’ Italia – Tel 392 5967459.